Qualche anno fa, un’indagine sulla scuola promossa nei paesi anglosassoni per cercare la causa del suo declino (tuttora in atto) , individuò nella disciplina il problema. Arrivò alla conclusione che la carenza, o la mancanza di disciplina, stava minando molte istituzioni e in particolare la scuola.
La scuola da considerare nel suo complesso come pietra angolare della società a cui fa da collante la disciplina. Il Devoto-Oli definisce la disciplina: Il complesso di norme che regolano la vita di una collettività. L’etimologia dal latino “discere” imparare, ne sintetizza l’essenza.
La perdita di disciplina è coincisa quasi sempre con il declino di molte civiltà del passato. Naturalmente hanno contribuito molti altri fattori, soprattutto economici, ma la disciplina è stata quasi sempre determinante.
Soffermiamoci e percorriamo a ritroso la storia d’Italia. Dobbiamo arrivare fino all’Impero Romano per trovare una società davvero “disciplinata”. La più organizzata di tutta la storia dell’umanità. Un’eredità incommensurabile che nemmeno due millenni di smemoratezza sono riusciti a distruggere. Questo nonostante il patrimonio genetico della gens-italica è andato fiaccandosi nel tempo, con l’eccezione del Rinascimento, che da solo illumina e riscatta due millenni con poche luci. Per nostra fortuna, dell’antica Roma sopravvivono oltre ai monumenti e opere dell’ingegneria, molte delle sue leggi. Il diritto romano ispira le legislazioni di quasi tutto il mondo contemporaneo. E se questo ci può riempire d’orgoglio da una parte, dall’altra non possiamo ignorare che la rilassatezza dei nostri costumi compromette e svuota le leggi che ci diamo, spesso in numero eccessivo. Non dovendo fare un saggio storico-filosofico, vi invito a seguire il filo del tema “disciplina”. Cominciamo col porci una domanda : Chi siamo gli Italiani oggi? Per farci una idea cominciamo col dire che non somigliamo ai nostri antenati romani, né tanto meno ai geni del Rinascimento. Verrebbe da dire che non siamo più né carne, né pesce. Vediamo allora di trovare qualcosa di verosimile partendo dall’Unità d’Italia. Volendo sintetizzare, potremmo dire che è stato un matrimonio combinato maldestramente da un gruppetto di giovani idealisti, sposando al buio (il popolo ne era talmente all’oscuro che i trecento dei Pisacane sbarcati a Sapri, furono accolti con i forconi) un Nord e un Sud diversissimi tra loro. Sembra quasi che neppure i maggiori protagonisti, da Mazzini a Garibaldi, per finire a Cavour, sapessero esattamente cosa stavano combinando. La storiografia ufficiale, infarcita di retorica, semplifica e ci dà una versione idilliaca dell’Unità. Ma è evidente che quel matrimonio non ha funzionato se sono nati figli ( vedi regioni a statuto speciale) e figliastri (regioni a statuto ordinario) che minacciano improbabili scissioni e difficili federalismi.
Per capire ciò che non ha funzionato, forse è utile leggere qualche libro recente sul revisionismo storico. Se fatto con ricerche rigorose, il revisionismo è necessario per far luce su fatti e cause che determinarono gli eventi. Negli ultimi tempi si sono esercitati storici, scrittori e giornalisti. Ne citiamo alcuni: Renzo De Felice, Angelo Del Boca, Luca Ricolfi, Pino Aprile, Bruno Giordano, Gianpaolo Pansa e altri.
Tutti avanzano tesi interessanti, ma è utile leggerli con senso critico.
La storia è un puzzle i cui tasselli vanno continuamente aggiornati. Torniamo un attimo sull’argomento: la perdita della disciplina. Partiamo dal Sessantotto. Quel movimento attraversò tutto l’Occidente, ma da noi interessò sostanzialmente solo il Nord Italia. Al netto della degenerazione terroristica, segna una svolta nel ricambio generazionale che, in una società dovrebbe sempre avvenire con una “rivoluzione“ civile pacifica.
Il vento del cambiamenti soffiava forte, ma a guardare come siamo messi oggi in Italia, possiamo dire che quel movimento ha tradito le attese di una società più giusta per i giovani. Proprio molti ex sessantottini, hanno riscoperto la vocazione gattopardesca nata con lo Stato Unitario: Cambiare tutto per non cambiare niente. I privilegi sono ricomparsi, soprattutto in politica, con rendite di posizione. Oggi le baronie imperversano nella società italiana nelle università negli ospedali nelle scuole, ovunque. La raccomandazione è prassi per sistemare in molte istituzioni parenti e clienti. Il principio meritocratico è disatteso, a volte rovesciato. I nostri migliori ricercatori sono costretti ad espatriare ( è stato calcolato che nei paesi dove hanno trovato accoglienza, hanno reso 5 volte le somme investite su di loro). Non cresciamo perché e difficile far volare gli asini. E nei posti di comando abbiamo messo spesso degli incapaci e persino molti stupidi che sono ancora più dannosi.
C’è poi un altro aspetto preoccupante ed è la corruzione diffusa. Purtroppo è la corruzione il terreno fertile per le mafie che sono piante infestanti e stanno invadendo tutt’Italia e anche parte dell’Europa. Forze dell’ordine e magistratura da sole non bastano a combatterle occorre il concorso della società civile. Per farlo è necessario ritrovare regole e valori condivisi ovvero ricreare una coscienza civile nazionale. In una parola serve disciplina. Occorre resettare la società, rivedere le palestre di vita, come la scuola dove reintrodurre l’educazione civica. Poi prevedere un periodo di servizio civile per giovani di ambo i sessi in sostituzione di quello militare troppo frettolosamente abolito. Cosi da insegnare doveri e sacrifici. Per concludere, sarebbe auspicabile che le generazioni over 60 si facciano da parte dopo una onesta autocritica, ammettendo di aver sbagliato molte cose. Hanno sprecato il periodo di pace più lungo della storia; saccheggiato molte delle risorse destinate alle nuove generazioni; seguito modelli di vita insostenibili, confondendo l’educazione con un permissivismo che ha reso vulnerabili i giovani.
I veri “bamboccioni” non sono i giovani ma quelli tra i sessanta e settantacinque anni un paio di generazioni di irresponsabili (con le dovute eccezioni) che hanno accumulato un debito pubblico pazzesco e vorrebbero lasciarlo in eredità ai figli.
Bisogna invitare i giovani a non dividesi fra loro e far fronte comune a quella che si presenta come “una resa di conti generazionale”. Non è un invito a disattendere di onorare i padri, ma un suggerimento per impedire che i vecchi continuino a fare disastri. I giovani dovrebbero rivedere e correggere al ribasso certe pensioni d’oro dei vecchi, prima di accompagnarli con decisione ai giardinetti, che saranno per loro liberatori, come lo era per i vecchi il tempio di Esculapio sotto l’imperatore Claudio. Se riluttanti, va ricordato l’oro che si sta applicando quella disciplina che non sono stati capaci di insegnare ai giovani. Capiranno. I giovani non potranno fare peggio di come hanno fatto i loro padri.
Giovanni TANCREDI